Il primo Doge di Venezia salì al potere nel 697, e l’ultimo terminò il suo regno con la caduta della Repubblica Veneta nel 1797. Quasi esattamente tra queste due date troviamo un momento cruciale della storia della città, la Serrata del Maggior Consiglio del 1297, o semplicemente «Serrata», che significa «chiusura». Comprendere il peso della Serrata è capire l’ingegnosità della politica veneziana e, quindi, la mentalità veneziana. Venezia è sempre stata attenta che nessuno avesse troppo potere. Con il passare del tempo, i poteri del doge, infatti, diminuivano sempre di più, diventando una figura simbolica. Il Maggior Consiglio, originariamente un piccolo gruppo di uomini che lavoravano per il Doge, nel tempo divenne l’organo decisore dello Stato. I membri dovevano essere eletti e quindi non vi era l’ereditarietà delle cariche. Situazione, che molte famiglie nobili volevano cambiare. Dopo l’entrata in vigore della Serrata del 1297, chiunque avesse fatto parte del Maggior Consiglio nei quattro anni precedenti poteva farne di nuovo parte, e ogni anno sarebbero entrati 40 nuovi eletti, purché fossero parenti di una delle famiglie facenti già parte del Consiglio. In sostanza, l’appartenenza al Maggior Consiglio era limitata ad un minor numero di famiglie nobili ma si apriva a un numero maggiore di persone, che nel 1310 raggiunsero 1200. Molti lamentavano il fatto che» la Sala non fosse abbastanza grande», così con il tempo fu ampliata fino alle dimensioni attuali. L’ornamento della stanza era costato così tanto denaro che chiunque avesse osato suggerire una qualsiasi altra miglioria sarebbe stato multato. Sebbene il Paradiso di Tintoretto sia l’opera più impressionante, è a suo figlio Domenico che dobbiamo la realizzazione di una serie di ritratti dei dogi; e come un nastro che scorre ogni dipinto ci racconta qualcosa dalla loro storia; tuttavia, è presente un drappo nero sul ritratto del Doge Falier. Egli fu punito per il suo tentativo di prendere il completo controllo dello stato. Per tale crimine era prevista la «decapitatio pro criminibus» (“decapitazione per crimini”), ma della sua storia ne parleremo più tardi.