Il caso di Casanova, una fuga descritta in dettaglio dall’avventuriero veneziano nelle sue Memorie, ci offre una visione chiara della differenza che il denaro poteva fare nel carcere e nella convivenza con i guardiani.
Dopo la condanna Casanova venne condannato nei Piombi che sono sì le celle peggiori, ma dove gli venne concesso più di un privilegio. Non dovette condividere lo spazio con altri, venendogli assegnata una cella privata; gli vennero serviti due pasti al giorno preparati appositamente per lui dalla taverna interna al cortile del Palazzo Ducale, la stessa cioè che lavorava per il personale e i guardiani stessi; gli veniva dato tutto il necessario per l’igiene personale e i suoi vestiti venivano puliti regolarmente; inoltre aveva libri e candele per far trascorrere il tempo. E’ chiaro che si tratta di una trattamento di favore da far risalire al fatto che qualcuno pagava per tutto questo: Casanova nelle pagine del suo libro non fa nomi, ma lascia intendere di poter fare affidamento ad una cerchia di amicizie influenti che cerca in tutti i modi di rendergli la prigionia più sopportabile e che lo aiutano al momento in cui decide di scappare – una fuga che risale ad una sua decisione, presa nel momento in cui è chiaro come sia possibile fare affidamento all’aiuto di certe figure potenti ma anche di come una simile opportunità sarebbe potuta svanire ad attendere troppo. Ed infatti riesce a scappare grazie ad un buco nel tetto che altri fanno per lui, cammina sul tetto del Palazzo Ducale finché trova una finestra lasciata aperta proprio per lui, entra nell’edificio ne attraversa diverse sale ma giunto all’uscita trova la porta chiusa, essendo ormai notte, ossia il momento più adatto per scappare. La mattina successiva il guardiano che viene ad aprire incontra Casanova ma non capisce di avere di fronte un evaso, visto che il damerino scappava abbigliato da gentiluomo elegante. Dopo uno scambio in cui Casanova riesce a farla franca con l’ingenuo guardiano, prosegue la fuga fino alla terraferma dove trova i cavalli già pronti e scappa da Venezia.
E’ chiaro dunque che i suoi guardiani vennero pagati molto sia nel periodo delle detenzione – vissuta in una condizione privilegiata – ma anche per l’organizzazione della fuga, e il caso chiarisce perché un simile lavoro fosse reputato buono e persino ricercato, visto come si potesse guadagnare facilmente nel caso in cui il prigioniero fosse “quello giusto”.
L’introito era garantito e abbondante al punto tale da permettere ai guardiani di nominare dei sostituti che lavorassero a percentuale, per quanto da una certa fase in poi la legge cercò di intervenire in modo da proibire una tale prassi.